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TEORIA DELL’ALLENAMENTO 11 – Il Sovrallenamento di Addison.

10/4/2019

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Insieme a quello di Basedow, il Sovrallenamento di Addison è una delle due tipologie di sindrome da sovrallenamento (certamente quella più diffusa) in cui possono incorrere più facilmente i corridori abituali.
Contrariamente al Sovrallenamento di Basedow, che presenta caratteristiche leggermente diverse e insorge più frequentemente in soggetti che svolgono allenamenti con sovraccarichi (tra cui gli atleti delle OCR), il Sovrallenamento di Addison è maggiormente riscontrabile in quegli individui che svolgono prevalentemente attività aerobiche di resistenza senza rispettare i naturali tempi di recupero dell’organismo.
Ma quando possiamo renderci conto di esserci imbattuti in tale sindrome e, soprattutto, quali sono i sintomi principali che ne caratterizzano l’eventuale insorgenza?
Vediamo insieme i più importanti:
 
  • Ipotensione → Pressione più bassa del normale;
  • Bradicardia → Rallentamento dei battiti cardiaci a riposo e sotto sforzo (condizione particolarmente ricercata da tutti i corridori ma, quando il rallentamento si fa più consistente, accompagnato da un generale senso di stanchezza, allora è meglio far suonare un primo campanello d’allarme);
  • Spossatezza → Sensazione quasi costante di leggero affaticamento;
  • Inappetenza → Lieve perdita di appetito;
  • Demotivazione → si manifesta più frequentemente in prossimità e durante una competizione. Il soggetto è meno aggressivo e orientato al raggiungimento dell’obiettivo;
  • Depressione;
  • Diminuzione dei livelli di adrenalina e noradrelina nel sangue;
  • Aumento della pressione arteriosa diastolica durante lo sforzo.
 
A causa della grande genericità dei sintomi sopra appena riportati, risulta particolarmente difficile individuare in un soggetto l’insorgere del Sovrallenamento di Addison.
Tuttavia, quando, dopo uno stress allenante di una certa durata, se le prestazioni sportive calano costantemente o si verifica invece un arresto totale dei miglioramenti adattivi fin lì sopraggiunti, possiamo affermare con un certo grado di ragionevolezza di essere in presenza di alcune indicazioni abbastanza evidenti di tale sindrome.
Come fare per uscirne?
Il riposo è assolutamente imprescindibile (almeno per 1-2 settimane), ma la ripresa dell’attività deve essere ben calibrata ed estremamente graduale, perché il Sovrallenamento di Addison si instaura dopo un lungo periodo di sforzo prolungato in cui non sono stati rispettati i corretti tempi di recupero e la strada per uscirne non è sempre breve.

 
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TEORIA DELL’ALLENAMENTO 10 – Il Sovrallenamento.

26/3/2019

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Nel precedente articolo di Teoria dell’Allenamento abbiamo affrontato il discorso relativo ai meccanismi di Compensazione e di Super-compensazione, responsabili delle modificazioni adattative dell’organismo conseguenti ad uno stress allenante.
 
Nello specifico, il nostro corpo rimane adattato all’allenamento soltanto nel caso in cui continui a ricevere stimoli costanti nel tempo (Principio della Continuità del Carico), in quanto, secondo il Principio della Reversibilità, la mancanza protratta di tali stimoli comporta inevitabilmente l’avvio del processo inverso. Molti corridori, infatti, dopo un periodo di riposto forzato causato da eventuali infortuni, perdono gran parte degli adattamenti ottenuti in precedenza con l’allenamento, sebbene alcuni mantengano una sorta di memoria muscolare in grado di accorciare i tempi di recupero.
 
Aggiungiamo inoltre che, secondo il Principio del Sovraccarico, l’organismo, dopo aver super-compensato, ha necessariamente bisogno di carichi di lavoro tendenzialmente crescenti al fine di poter garantire un miglioramento graduale e continuo.
 
Tuttavia, la pianificazione del progressivo sovraccarico deve essere calibrata con estrema cura perché, quando non vengono adeguatamente rispettati i necessari e giusti tempi di recupero, sopraggiunge quasi sempre un fenomeno, particolarmente temuto da ogni atleta, chiamato Sovrallenamento o OTS (Over Training Syndrome) o, ancora, Overreaching.
Non appena insorge una condizione di sovrallenamento, il corridore assisterà inevitabilmente a un generale decremento della prestazione e delle proprie condizioni di salute. Non è facile stabilire come e quando potrà verificarsi tale condizione, perché ogni soggetto è diverso per intensità di carichi di lavoro che può sopportare e per proprie caratteristiche individuali. In generale, al fine di scongiurare il rischio di sovrallenamento, sarebbe necessario programmare periodicamente delle fasi di scarico, che permettono al corpo di super-compensare in maniera adeguata.
 
Senza un allenamento attentamente pianificato che, invece di favorire una risposta adattativa, causi invece un esaurimento delle risorse fisiche e mentali a disposizione  dell’organismo, l’atleta noterà sempre un calo prestativo, con conseguenti ripercussioni sullo stato di salute, a volte anche piuttosto importanti.
 
Esistono due principali OTS (Sindromi da Sovrallenamento), che interessano, in particolar modo, due differenti tipologie di atleti ma che, con il diffondersi delle gare di corsa con ostacoli (OCR), iniziano a colpire anche molti corridori che iniziano a cimentarsi in tale disciplina:
 
  1. Sovrallenamento di Addison → tale sindrome è facilmente riscontrabile in quegli individui che svolgono attività di resistenza o che si allenano da lungo tempo. Per tale motivo il Sovrallenamento di Addison colpisce, nel nostro caso, maratoneti e ultramaratoneti, senza risparmiare nemmeno quei corridori che si cimentano in distanze più corte;
 
  1. Sovrallenamento di Basedow → solitamente riscontrabile nei soggetti che non hanno una lunga esperienza di allenamento e che svolgono preferibilmente attività con sovraccarichi. Considerando il fatto che sempre più corridori puri gareggiano nelle OCR (Obstacle Course Race), che implicano necessariamente un notevole sforzo muscolare sia durante la gara che durante le sedute di potenziamento in palestra, il Sovrallenamento di Basedow sta diventando sempre più frequente anche nel nostro mondo.
 
Nei prossimi articoli analizzeremo in dettaglio le singole caratteristiche di ogni tipologia di sovrallenamento, affrontando in seguito anche il discorso relativo al riposo e alle fasi di recupero.
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TEORIA DELL’ALLENAMENTO 9 – Compensazione e Super-compensazione.

13/3/2019

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Un allenamento ben calibrato alle possibilità di ogni singolo soggetto, che sia cardiovascolare o puramente muscolare, se protratto nel tempo con regolarità e costanza, permette un graduale miglioramento del tono e del volume muscolare, sviluppando al contempo delle qualità specifiche come la forza, la resistenza e la potenza e generando degli adattamenti specifici all’interno del nostro organismo. Tutto ciò ci consentirà di ripetere lo stesso sforzo e, con i giusti tempi di recupero, persino di aumentarlo.
Ma come si ottengono tali adattamenti?
 
Al fine di migliorare la condizione fisica derivante da un allenamento mirato è sempre necessario sottoporre i nostri muscoli ad un sovraccarico temporaneo, che li costringerà a reclutare il maggior numero di fibre possibile e a consumare quasi del tutto le scorte di glicogeno muscolare presenti al loro interno.
 
Nel caso specifico della corsa, questo risultato è facilmente ottenibile inserendo all’interno del proprio programma di allenamento almeno una seduta di ripetute alla settimana, pianificata in base alla propria velocità di riferimento e al chilometraggio della gara da affrontare. Oltre alle ripetute, quasiasi corridore che voglia avere muscoli più forti potrebbe (e dovrebbe) inserire, anche una giornata di potenziamento muscolare in palestra. I soggetti più forti e allenati (o coloro che corrono le OCR, Obstacle Course Race) devono necessariamente alternare gli allenamenti, sviluppando contemporaneamente la propria capacità cardiovascolare e, in termini di forza, quella più puramente muscolare.
 
Lo stress allenante, responsabile del sovraccarico temporaneo menzionato prima, produce inevitabilmente dei microtraumi a livello cellulare, inducendo allo stesso tempo delle momentanee modificazioni alla produzione ormonale. In seguito a tale stress, il nostro organismo tende sempre a tornare alla condizione iniziale di pre-allenamento e questo meccanismo viene denominato con il termine di Compensazione.
 
Qualora lo stress allenante sia protratto nel tempo grazie ad un’attenta pianificazione dell’allenamento, il corpo preparerà invece le proprie strutture a essere sottoposte ad uno stimolo di pari intensità secondo il principio della Super-compensazione. È proprio grazie alla risposta adattiva di super-compensazione che saremo in grado di affrontare e sopportare meglio i carichi di lavoro successivi ai nostri primi allenamenti che prevedono un sovraccarico temporaneo. Tuttavia, affinchè il meccanismo della super-compensazione sia realmente efficace, è assolutamente imprescindibile prevedere, all’interno dei propri cicli di allenamento, delle giornate destinate al recupero muscolare.
 
Se è pur vero che, se gli stimoli derivanti dallo stress allenante non sono adeguatamente ripetuti nel tempo, per il cosidetto principio di reversibilità le modificazioni indotte dall’allenamento con sovraccarico temporaneo tendono a scomparire, arrivando persino a causare una graduale regressione delle qualità muscolari acquisite, è altrettanto vero che, se tali stimoli sono ripetuti con troppa frequenza ed intensità, il nostro organismo si troverà in seria difficoltà nel tentativo di trovare le risorse a disposizione per poter procedere con una corretta super-compensazione. In tal caso, esiste il concreto rischio che il soggetto possa compromettere anche la fase di compensazione e, non rispettando i giusti tempi di recupero, incorrere nel temuto fenomeno del sovrallenamento (anche noto con i termini inglesi di overreaching o OTS, Over Training Syndrome), di cui parleremo più estesamente nel prossimo articolo.
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TEORIA DELL’ALLENAMENTO 8  – Il Defaticamento

22/3/2018

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Esistono due opinioni contrastanti fra loro in relazione al Defaticamento, che si scontrano in merito alla necessità di svolgerlo sempre al termine di ogni prestazione o soltanto in determinati casi. Personalmente appartengo alla seconda scuola di pensiero, ma vediamo prima insieme di che cosa si tratta nello specifico.
Per “Defaticamento” intendiamo qualsiasi attività aerobica a bassa intensità al termine di un allenamento o di una gara. Il defaticamento dura solitamente 10 minuti, ma può anche essere protratto fino ad un massimo di 20 minuti, allo scopo di ridurre gradualmente l’intensità dell’attività fisica appena svolta.
Parlando della nostra normale attività sportiva (ripetute su qualsiasi terreno e pendenza, medi e variazioni di ritmo-fartlek) il defaticamento consisterà necessariamente in una sessione finale di corsa leggera, a velocità progressivamente decrescente, per poi terminare con 2-3 minuti di cammino.
 
Perché è necessario defaticare e quali sono i benefici del defaticamento?
 
  1. Rimuove le scorie metaboliche dal sangue;
  2. Rimuove in maniera più efficace e rapida il lattato, evitando la sensazione di vertigine che si prova quando si termina all’improvviso un’attività sportiva ad alta intensità;
  3. Riduce gradualmente la temperatura corporea;
  4. Riduce la richiesta cardiorespiratoria;
  5. Riduce l’indolenzimento muscolare, migliorando la flessibilità;
 
Quando, invece, sarebbe opportuno non defaticare?
È proprio dinanzi a questa domanda che le scuole di pensiero divergono in maniera inconciliabile. Di fronte a coloro che sostengono l’importanza del defaticamento in qualsiasi occasione, anche al termine di un lunghissimo o di una maratona, ci sono altri che supportano la tesi contraria (come il sottoscritto).
Perché, infatti, aggiungere un’ulteriore attività aerobica ad una seduta particolarmente pesante o ad una gara? Personalmente ritengo che ciò andrebbe a ridurre al lumicino le nostre scorte di glicogeno già duramente provate e che, quando gli allenamenti sono estremamente ravvicinati e intensi, quei 10-20 minuti di defaticamento al termine di ogni sessione vadano ad aumentare soltanto il nostro senso di fatica.
Pertanto consiglio di svolgerlo esclusivamente al termine di allenamenti di velocità o dopo un medio, ma anche in questo caso sarà la vostra personale esperienza a guidarvi nella scelta e nulla vi vieta di corricchiare anche al termine di una maratona.

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TEORIA DELL’ALLENAMENTO 7  – Il Riscaldamento

30/11/2017

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Riscaldarsi adeguatamente prima di iniziare qualsiasi attività fisica è altrettanto importante quanto allenarsi in maniera costante e graduale, ma quanti di noi seguono attentamente questa regola aurea?
Eppure basterebbe sapere che un buon Riscaldamento, effettuato prima di ogni nostra gara o allenamento, riduce significativamente il rischio di incappare in eventuali infortuni, aumentando al contempo il livello delle nostre prestazioni sportive.
 
In termini squisitamente aerobici, la vasodilatazione indotta dal riscaldamento favorisce un maggiore apporto di ossigeno ai tessuti, un lieve innalzamento della temperatura corporea e, conseguentemente, un leggero aumento della nostra frequenza cardiaca, preparandoci ad affrontare al meglio il successivo sforzo.
 
Il riscaldamento, inoltre, stimola la circolazione del liquido sinoviale nelle articolazioni, la trasmissione neuromuscolare e la contrazione muscolare, provvedendo anche all’attivazione del metabolismo.
 
Affinché gli effetti del riscaldamento siano benefici è però assolutamente necessario eseguirlo in maniera graduale, progressiva e a bassa intensità, partendo sempre da una corsa leggera, mai esplosiva, che può durare dai 5 ai 15 minuti, e avendo cura che non sopraggiunga una sensazione di fatica prima dell’inizio dell’allenamento vero e proprio.
Qualora si debba effettuare un lavoro impegnativo (ripetute o fartlek) può risultare utile inserire, al termine della corsetta di riscaldamento, alcuni esercizi pluriarticolari a corpo libero, unitamente a movimenti lenti di circonduzione di spalle, anche, polsi e caviglie che, pur essendo a basso impatto, simulano i successivi microtraumi indotti dalla corsa (avremo comunque modo di parlare e vedere tali esercizi in modo più approfondito in un successivo articolo).
 
È bene, in ultimo, ricordare che gli effetti positivi prodotti dal riscaldamento perdurano per circa 15 minuti successivi al termine dello stesso ed è quindi importante non far trascorrere troppo tempo fra l’attività di riscaldamento e la nostra sessione di allenamento.

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TEORIA DELL’ALLENAMENTO 6  – La Capacità Aerobica (VO2Max)

14/9/2017

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Ogni corridore che si rispetti cerca sempre di migliorare le proprie prestazioni attraverso l’aumento della Capacità Aerobica, anche espressa attraversa la sigla VO2Max.
Che cos’è o, meglio, cosa rappresenta, la Capacità Aerobica di un soggetto?
Possiamo semplicemente definirla come la quantità massima di ossigeno (espressa in millilitri) che il nostro organismo è in grado di utilizzare per ogni chilogrammo di peso corporeo in 1 minuto di lavoro. Più la nostra Capacità Aerobica sarà alta e più il nostro organismo sarà efficiente e prestante.
Il modo migliore per aumentare la Capacità Aerobica è, ovviamente, l’allenamento, specialmente quando vengono inserite Ripetute di qualsiasi distanza, ma sarebbe comunque opportuno tenerla monitorata e calcolarla con frequenza regolare, in quanto i benefici ottenuti tramite l’allenamento sono reversibili, in caso di interruzione forzata o calo generale di forma dovuto ad altri fattori.
A ogni modo, un’ottima prestazione durante la corsa non viene unicamente garantita da un buon valore di VO2Max, ma anche dalla nostra capacità di mantenere per l’intera durata dell’allenamento (o della gara) un consumo di ossigeno il più vicino possibile a quello massimo.
Come calcolare, dunque, la propria VO2Max?
Vediamo, di seguito, i due metodi più famosi:
 
  1. Test di Balke → si tratta di un test massimale molto interessante per il calcolo della Capacità Aerobica, da effettuarsi su un tapis roulant, che viene programmato ad una velocità costante per tutta la durata del test (5,3 Km/h per gli uomini e 4,8 Km/h per le donne). In seguito, dall’inizio del test, si aumenta la pendenza del 2,5% ogni 2 minuti. Quando il soggetto non è più in grado di sostenere un ulteriore incremento di pendenza il test viene interrotto. A questo punto è possibile calcolare la VO2Max con una semplice formula e comparare poi il risultato ottenuto con i valori di riferimento all’età, per classificare in via generale la sua prestazione cardiocircolatoria. La formula del Test di Balke: VO2Max = (tempo X 1,444) + 14,99. ESEMPIO: un uomo di 30 anni che termina il test dopo 16 minuti avrà un valore di VO2Max pari a (16 X 1,444) + 14,99 = 38,094 ml/kg/min (millilitri di ossigeno per chilogrammo corporeo al minuto). A questo punto, per conoscere il livello di prestazione, basta confrontare tale risultato con l’età del soggetto nella seguente tabella;
 
  1. Test di Cooper → celeberrimo test massimale che molti di noi hanno svolto almeno una volta nella propria vita, sin dalle scuole medie. Il Test di Cooper fornisce una stima sul livello di efficienza del soggetto sulla base dei metri percorsi su terreno pianeggiante per 12 minuti (è sempre consigliabile fare un leggero riscaldamento prima del test). La formula del Test di Cooper: VO2Max = (distanza percorsa in metri – 505) / 45. ESEMPIO: un soggetto corre 3.000 metri in 12 minuti e, pertanto, la sua VO2Max sarà pari a (3.000 – 505) / 45 = 55,444 ml/kg/min. Come nel Test di Balke è poi possibile, tramite l’utilizzo di una tabella, verificare il livello di efficienza in base all’età.
 
 

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TEORIA DELL’ALLENAMENTO 5  – La Soglia Anaerobica

6/9/2017

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Ed eccoci finalmente arrivati a trattare della fatidica Soglia Anaerobica, ossia di quel livello di intensità dello sforzo fisico oltre il quale la produzione di acido lattico è decisamente maggiore rispetto alla quantità che il nostro organismo è in grado di smaltire.
Oltre la Soglia Anaerobica aumentano anche rapidamente la produzione di anidride carbonica e la ventilazione e il costante e progressivo accumulo di acido lattico interferisce con il meccanismo di contrazione muscolare, costringendo ogni atleta a fermarsi.
Al di sotto di tale soglia, invece, l’apporto di ossigeno rimane comunque sufficiente e in grado di smaltire l’acido lattico prodotto, riconvertendolo a livello epatico in glucosio e, successivamente, in glicogeno, a sua volta riutilizzabile dai muscoli.
Diventa subito chiaro, quindi, che innalzare la propria Soglia Anaerobica è assolutamente fondamentale in termini di miglioramento delle prestazioni e cio è possibile attraverso allenamenti specifici, anche definiti Allenamenti di Resistenza al Lattato, che diminuiscono progressivamente la produzione di acido lattico e migliorano l’efficienza con cui questo viene smaltito e riconvertito in energia. Tutto questo si traduce, infine, in una generale diminuzione della velocità di accumulo dell’acido lattico e, dunque, in un miglioramento della propria prestazione sportiva.
Come si calcola la Soglia Anaerobica?
Vediamo insieme i metodi più diffusi:
 
  1. Test di Conconi → si tratta di un test progressivo massimale, in quanto Conconi scoprì che il rapporto tra l’aumento dell’intensità dell’esercizio e l’aumento della frequenza cardiaca è lineare solo fino ad un punto, oltrepassato il quale lo sforzo aumenta in proporzione maggiore rispetto alla frequenza cardiaca. È proprio oltre quel punto individuato da Conconi che si attiva il meccanismo anaerobico lattacido. Dopo un adeguato riscaldamento si sale su un tapis roulant e, per gli atleti allenati, si parte con una velocità di 6-7 km/h e un incremento di 1 km/h ogni 30 secondi, mentre per gli atleti non allenati, si parte con una velocità di 4-5 km/h e un incremento di 0,5 km/h ogni 30 secondi. Sarà quindi facilmente dedurre a quale velocità/ritmo si raggiunge la propria Soglia Anaerobica, ossia quando la frequenza cardiaca inizia ad aumentare solo leggermente rispetto a poco prima. È possibile svolgere autonomamente il Test di Conconi, muniti di cardiofrequenzimetro, ma la grande quantità di variabili in gioco non lo rende sufficientemente attendibile;
 
 Analisi chimica del sangue → effettuabile unicamente in uno studio/laboratorio professionistico o, in alternativa, acquistando un’apparecchiatura portatile in grado di misurare la quantità di lattato. Convenzionalmente, è stato stabilito che ci si trova in regime anaerobico lattacido quando la concentrazione di acido lattico nel sangue è superiore a 4 mmol/l (millimoli per litro).
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TEORIA DELL’ALLENAMENTO 4 – La Frequenza Cardiaca Allenante.

31/8/2017

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Nel precedente articolo relativo alla scienza dell’allenamento abbiamo visto come calcolare la Frequenza Cardiaca Massima e come vengono comunemente impostate le Zone di Allenamento in base a quest’ultima, ma l’utilizzo della FCMax per valutare l’intensità di un allenamento presenta comunque dei limiti che non devono essere sottovalutati.
Se, infatti, individui particolarmente allenati e in perfetta forma raggiungono la propria Soglia Anaerobica Lattacida (ossia quel limite oltre il quale la produzione di acido lattico diventa maggiore rispetto alla quantità che il corpo è in grado di smaltire) al 90% della propria FCMax, esistono invece molte altre persone sedentarie o che rientrano da un lungo infortunio e, quindi, da un periodo di inattività forzata, che raggiungono la soglia anaerobica lattacida al 50-60% della propria FCMax.
Il raggiungimento della Soglia Anaerobica Lattacida può pertanto attestarsi, in generale, in un intervallo compreso fra il 50 e il 90% della FCMax.
Diventa evidente, quindi, che le Zone di Allenamento non valgono in maniera uniforme per tutti, senza considerare, inoltre, che la FCMax varia in funzione di numerosi altri fattori, non sempre direttamente controllabili dal soggetto che si allena (basti pensare a condizioni di caldo estremo, privazione di sonno o periodi di malessere psicologico).
 
Come ovviare a tale problema e calcolare in modo più preciso la Frequenza Cardiaca Allenante ideale per un soggetto che si allena invece con una certa costanza, in grado di far ottenere un sensibile miglioramento a livello fisiologico?
Vediamo insieme i due metodi indiretti più famosi:
 
  1. 75% della FCMax → ESEMPIO: secondo la Formula di Tanaka, la FCMax di un soggetto di 30 anni sarà pari a 189 bpm. Pertanto, il 75% della FCMax sarà pari a 189 X 0,75 ≈ 142 bpm;
 
  1. Metodo Karvonen → Il Metodo Karvonen è molto più preciso, in quanto tiene conto della Frequenza Cardiaca a Riposo di ogni soggetto (che, negli atleti, è solitamente più bassa rispetto alla norma). Si calcola dapprima la Frequenza Cardiaca di Riserva (FCris), facilmente ottenibile sottraendo dalla FCMax la Frequenza Cardiaca a Riposo, che rappresenta in sostanza la frequenza cardiaca media durante le nostre attività quotidiane. A questo punto è necessario moltiplicare la FCris per 0,75 e addizionare a tale risultato la propria Frequenza Cardiaca a Riposo. ESEMPIO: poniamo che la Frequenza Cardiaca a Riposo di un soggetto di 30 anni sia pari a 60 bpm (con FCMax pari a 189, secondo la Formula di Tanaka). La FCris sarà dunque 189 (FCMax) – 60 (FCriposo) ossia 129 bpm. Moltiplichiamo la FCris così ottenuta per 0,75 (129 X 0,75 ≈ 97 bpm) e sommiamo infine la FCriposo a tale valore (97 + 60 = 157 bpm) ottenendo così infine la Frequenza Cardiaca Allenante ottimale secondo il Metodo Karvonen.
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TEORIA DELL’ALLENAMENTO 3 – La Frequenza Cardiaca Massima e le Zone di Allenamento.

24/8/2017

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Croce e delizia di qualsiasi corridore degno di questo nome è la Frequenza Cardiaca e l’utilizzo del cardiofrequenzimetro durante allenamenti e gare.
A interessarci, in particolar modo, è la cosiddetta Frequenza Cardiaca Massima (o FCMax), l’indicatore sicuramente più adatto a stabilire l’intensità delle nostre sedute di allenamento, espressa in bpm, ossia battiti per minuto, e decisamente variabile da soggetto a soggetto, in base alle caratteristiche individuali di ognuno, all’età e al proprio stato di forma fisica.
La Frequenza Cardiaca a Riposo è considerata assolutamente fisiologica in un intervallo compreso fra i 40 e i 100 bpm ma, tramite un buon programma di allenamento, il valore iniziale può essere gradualmente abbassato e questo incide sempre positivamente sulla resistenza del soggetto e sulle sue successive prestazioni, in quanto la Frequenza Cardiaca Massima verrà raggiunta con maggior ritardo e ad un livello di sforzo fisico maggiore.
Come calcolare, pertanto, la Frequenza Cardiaca Massima?
Attualmente abbiamo due differenti metodi indiretti a disposizione, che offrono un buon grado di approssimazione e risultati sostanzialmente simili; vediamoli entrambi in successione:
 
  1. Formula di Cooper → FCMax = 220 – età. ESEMPIO: secondo la Formula di Cooper, la FCMax di un soggetto di 30 anni sarà pari a 220 – 30, ossia a 190 bpm;
 
  1. Formula di Tanaka → FCMax = 210 – (0,7 X età). ESEMPIO: secondo la Formula di Tanaka, la FCMax di un soggetto di 30 anni sarà pari a 210 – (0,7 X 30), ossia a 189 bpm.
 
Al fine di poter pianificare una buona tabella di allenamento, dopo aver adeguatamente calcolato la propria Frequenza Cardiaca Massima, è possibile effettuare una suddivisione ragionata delle cosiddette Zone di Allenamento in base alla percentuale della FCMax che le contraddistingue. Analizziamole insieme:
 
  1. Zona 1 → 50-59% della propria FCMax, corrispondente ad un basso impegno cardiovascolare. In tale intervallo la concentrazione di lattato nel sangue rimane a livelli quasi simili a quelli di riposo e, dunque, l’intensità della Zona 1 è sostanzialmente adatta ad attività di riscaldamento e/o defaticamento o al recupero attivo dopo una gara o un allenamento molto intenso;
 
  1. Zona 2 → 60-69% della propria FCMax, corrispondente ad un basso-moderato impegno cardiovascolare. In tale intervallo la concentrazione di lattato nel sangue rimane inferiore a 2 mmol/l (millimoli per litro). L’intensità dello sforzo è paragonabile a quella di una corsa a Ritmo Lento o Lentissimo ed è proprio in questo intervallo che, a livello fisiologico, l’organismo tende ad utilizzare i lipidi come fonte energetica principale;
 
  1. Zona 3 → 70-79% della propria FCMax, corrispondente ad un moderato impegno cardiovascolare. In tale intervallo la concentrazione di lattato nel sangue si aggira intorno a 2 mmol/l (livello riscontrabile sperimentalmente in un atleta impegnato a correre una maratona). L’intensità dello sforzo è pertanto paragonabile a quella di una corsa a Ritmo Medio e qualsiasi allenamento o gara corsi in questo intervallo aumentano l’efficienza del metabolismo aerobico, il consumo del glicogeno e dei trigliceridi muscolari, producendo anche effetti positivi sulla capacità di ossidazione dei grassi da parte dell’organismo e di smaltimento dell’acido lattico. Gli allenamenti nella Zona 3 sono quindi particolarmente utili ad incrementare la gittata pulsatoria del cuore (producendo, con il tempo, un abbassamento della Frequenza Cardiaca a Riposo) e la capacità ventilatoria (che si traduce, quest’ultima, in un aumento generale della resistenza);
 
  1. Zona 4 → 80-89% della propria FCMax, corrispondente ad un medio-alto impegno cardiovascolare. In tale intervallo la concentrazione di lattato nel sangue è di poco inferiore o pari a 4 mmol/l (valore caratteristico del raggiungimento della Soglia Anaerobica, di cui parleremo in un prossimo articolo). L’intensità dello sforzo è paragonabile a quella di un allenamento o gara breve corsi a Ritmo Veloce o ad un allenamento di Ripetute Lunghe e/o Ripetute Medie. In tali condizioni l’organismo utilizza principalmente il glicogeno presente nei muscoli, ma l’acido lattico inizia ad accumularsi in maniera progressiva e a non essere più adeguatamente smaltito dall’organismo, tanto da limitare la possibilità di mantenimento dell’andatura di corsa a poche decine di minuti o, al massimo, per poco più di un’ora. Gli allenamenti nella Zona 4  permettono di elevare sensibilmente la propria Soglia Anaerobica e la tolleranza al lattato e di migliorare la capacità di utilizzo dell’ossigeno da parte dell’organismo;
 
  1. Zona 5 → ≥ 90% della propria FCMax, corrispondente ad un alto-massimo impegno cardiovascolare. In tale intervallo la produzione di acido lattico è molto abbondante e la corsa può essere protratta soltanto per pochi minuti. L’intensità dello sforso è paragonabile a quella di un allenamento di Ripetute Brevi. In tali condizioni l’organismo utilizza quasi esclusivamente il glicogeno muscolare e gli allenamenti effettuati in questa zona sono molto utili a migliorare la VO2Max (di cui parleremo prossimamente) e la tolleranza al lattato. Bisogna fare attenzione, però, a non eccedere con le Ripetute Brevi, perché il rischio di sovrallenamento e di infortunio è sempre dietro l’angolo.
 
Al termine di questa breve carrellata sulle Zone di Allenamento sorge forse spontanea una domanda. Cosa accade quando, invece, si supera la Frequenza Cardiaca Massima?
Personalmente l’ho sperimentato una sola volta al termine di una gara di 10 km, durante lo scatto finale per superare un paio di corridori davanti a me...
Il risultato? Una bella vomitata sul prato accanto all’arrivo!
Quindi, a meno che non siate professionisti o in procinto di vincere qualche gara, è meglio sempre tenersi un pochino al di sotto di tale limite...
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TEORIA DELL’ALLENAMENTO 2 – I Ritmi di Allenamento.

18/8/2017

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Una volta stabilita con precisione la propria Velocità di Riferimento è possibile capire a quale ritmo correre i nostri allenamenti pianificati.
Se dovessimo sintetizzare le varie tipologie di allenamento e calcolare i rispettivi Ritmi da
associare ad essi, potremmo agevolmente utilizzare la seguente suddivisione:
 
  1. LENTO (con variante LENTISSIMO): allenamento basilare che ha come principale obiettivo quello di incrementare la resistenza e la capacità aerobica di ogni corridore, aumentare la capillarizzazione dei tessuti muscolari, utilizzare i grassi di riserva dell’organismo e abituare tendini e legamenti a sopportare sforzi prolungati. Il Lento corrisponde a un ritmo superiore del 15-20% della propria Velocità di Riferimento. ESEMPIO: la Velocità di Riferimento di un corridore (calcolata mediante il Test dei 3 km) è pari a 4’30”/km, ossia 270 secondi. Il 20% di 270 secondi è pari a 54 secondi. Quindi, per ottenere il ritmo del Lento sarà necessario sommare 54 secondi alla Velocità di Riferimento. Il valore finale ottenuto sarà pertanto pari a 5’24”/km. Il Lentissimo solitamente si corre su terreno collinare, sterrato e boschivo ed è ancora più utile del Lento nell’allenamento e nel potenziamento della struttura muscolare. Considerando che il Lentissimo prevede l’inserimento di salite e discese, a volte anche piuttosto impegnative, è accettabile correrlo anche ad un ritmo superiore del 30-35% della propria Velocità di Riferimento;
 
  1. MEDIO: questo tipo di allenamento, al pari del Lento e del Lentissimo serve ad incrementare la capacità aerobica e ad abituare l’organismo ad utilizzare i grassi di riserva come fonte di energia. Solitamente il Medio corrisponde anche al Ritmo Maratona di qualsiasi corridore non professionista e andrebbe corso a un ritmo superiore del 10-12% della propria Velocità di Riferimento. ESEMPIO: considerando i valori sopra riportati per il calcolo del ritmo Lento, il 10% di 270 secondi è pari a 27 secondi e, pertanto, il ritmo Medio sarebbe pari a 4’57”/km;
 
  1. VELOCE: con gli allenamenti a ritmo Veloce l’organismo potenzia la capacità aerobica e la VO2MAX (Massimo Consumo d’Ossigeno, di cui parleremo in un successivo articolo). Va corso ad un ritmo superiore del 5-6% della propria Velocità di Riferimento. ESEMPIO: sempre considerando gli esempi precedenti, il 5% di 270 secondi è pari a 13,5 secondi (approssimiamo a 13 secondi) e, pertanto, in questo caso il ritmo Veloce sarebbe pari a 4’43”/km;
 
  1. RIPETUTE LUNGHE: le Ripetute Lunghe vanno corse sulla distanza di 3.000, 4.000 e 5.000 metri e loro scopo precipuo è quello di incrementare la resistenza alla potenza aerobica. Ad ogni ripetuta lunga segue un tratto corso a ritmo Lentissimo, la cui durata può variare a seconda del tipo di allenamento che viene previsto. Solitamente vanno corse ad un ritmo uguale o superiore del 2-3% della propria Velocità di Riferimento. ESEMPIO: in tal caso, sempre facendo riferimento agli esempi sopra riportati, qualora si optasse per il calcolo del 2% dovremmo aggiungere 5,4 secondi (2% di 270, approssimati a 5 secondi) alla Velocità di Riferimento. Il ritmo delle Ripetute Lunghe sarebbe quindi pari a 4’35”/km. In alternativa, potrà anche essere uguale, ossia 4’30”/km;
 
  1. RIPETUTE MEDIE: le Ripetute Medie vanno corse su distanze comprese tra i 1.000 e i 2.000 metri, sempre inframmezzate da tratti corsi a ritmo Lentissimo, ed incrementano la potenza aerobica del soggetto. Vanno corse ad un ritmo inferiore del 2-3% della propria Velocità di Riferimento. ESEMPIO: approssimando il 2% a 5 secondi come sopra, il ritmo delle Ripetute Medie di un corridore con Velocità di Riferimento pari a 4’30”/km sarà uguale a 4’25”/km;
 
  1. RIPETUTE BREVI: le Ripetute Brevi si corrono solitamente su distanze variabili fra i 200 e gli 800 metri, con recuperi a ritmo Lentissimo, ed oltre a migliorare la potenza aerobica stimolano anche la reattività muscolare e tendinea. Vanno corse ad un ritmo inferiore del 5-7% della propria Velocità di Riferimento. ESEMPIO: sempre considerando gli esempi appena citati, il 7% di 270 secondi è pari a 18,9 secondi (approssimati a 19). Il ritmo delle Ripetute Brevi sarà dunque pari a 4’11”/km per un corridore con Velocità di Riferimento pari a 4’30”/km.




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    Davide Salvatore Chionna. Corridore e scrittore. Amo narrare luoghi ed emozioni.

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